Marzo, 2020
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(Sabato) 20:30
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-- ANNULLATO -- A seguito del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2020, recante «Misure per il contrasto e il contenimento sull’intero territorio
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— ANNULLATO —
A seguito del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2020, recante «Misure per il contrasto e il contenimento sull’intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19» che sospende tutte le attività del Teatro Ristori fino a venerdì 3 aprile 2020, lo spettacolo è annullato.
ENEIDE, generazioni
regia Stefano Scherini
scene Gregorio Zurla, costumi Elena Rossi
luci Anna Merlo e Nicolò Pozzerle, musiche Zeno Baldi
con Nicola Ciaffoni, Giovanna Scardoni, Stefano Scherini
produzione Associazione Culturale Mitmacher
Basato sul capolavoro virgiliano, da cui si dipartono innesti e contaminazioni con la contemporaneità. Eneide, generazioni, è rivolta tanto al pubblico giovane quanto a quello adulto. Per raccontare il mito dell’eroe in fuga dalla sua patria verso un nuovo destino.
Nel poema di Virgilio, Enea, dopo aver assistito alla distruzione della propria città, è costretto dal fato a compiere un viaggio per la ri-fondazione di una nuova Troia. Non è un caso che le coste del Lazio siano, oltre allo scenario che vedrà nascere Roma, anche la mitologica culla della stirpe troiana. Come a dire quindi che l’identità di un nuovo popolo non può prescindere dalla conoscenza delle proprie radici e da quella del proprio passato. Enea, nello spettacolo, compie innanzitutto un viaggio fisico, per mare, il viaggio di un profugo di guerra le cui caratteristiche consentono di sovrapporre l’odissea dell’eroe troiano alle centinaia che affollano la nostra cronaca. La tradizione romana assegna quindi il ruolo di predestinato alla fondazione della propria civiltà ad un uomo che, pur avendo dentro di sé una parte di DNA divino, è un uomo comune, sconfitto, sfortunato, pieno di dubbi e incertezze. Le numerose perdite e tragedie che quest’uomo vive durante il tracciato di Eneide contribuiscono alla presa di coscienza della sua identità e, di conseguenza, per i lettori contemporanei di Virgilio, alla presa di coscienza che il popolo di Roma ha di sé.
Cosa ci impedisce dunque di pensare, sulla scorta di Virgilio, che un uomo con le stesse caratteristiche di Enea – straniero, profugo, sommerso – possa oggi essere veicolo di un bagaglio culturale degno di un impero come quello romano? E se Roma ha voluto accogliere dall’estero, dal paese di origine del profugo Enea, una cultura diversa, straniera e porla a fondamento della propria civiltà, cosa ci vieta, spingendo tale ragionamento al suo limite estremo, di pensare che sia addirittura possibile la stessa cosa con i migranti che ci raggiungono? L’eroe troiano compie un secondo viaggio, metaforico: una discesa agli inferi che è metonimia dell’intero nostro spettacolo: l’episodio del sesto libro diventa la nostra chiave di lettura dell’intero poema. Scendere negli inferi – per conoscere il punto di approdo del viaggio – vuol dire per noi avventurarsi nella parte più profonda e oscura, quella in cui sono contenuti i nostri desideri, le nostre ombre, le nostre estreme possibilità.
Duemila anni fa l’imperatore romano Augusto sentì la necessità di far coincidere l’origine leggendaria di Roma con l’origine della sua famiglia, come a voler rintracciare la propria identità in quella di Roma. Duemila anni dopo, lo spettacolo, seguendo le tracce di Enea, ci invita a consultare la nostra personale Sibilla, a scendere nei nostri inferi, a dare un nome alle nostre personali tragedie, a compiere un viaggio per poter rintracciare le origini della nostra personale identità e collocarla all’interno di una comunità più ampia.
“Eneide è un capolavoro della letteratura mondiale, è un classico. Ma perché? Cosa suscita in noi ancora interesse in un testo di duemila anni fa? La straordinarietà del capolavoro di Virgilio, a mio avviso, risiede nella sua contradditorietà; questa è evidentemente figlia della genesi del testo che, come sappiamo, avviene su commissione di Ottaviano Augusto. La necessità di donare a Roma e ai suoi imperatori un’origine divina o comunque nobile produce Enea, certamente l’eroe, ma anche l’uomo con tutta la sua complessità. Da questo punto di vista, credo che si possa dire che Eneide è il primo romanzo moderno in cui l’essere umano è al centro, con tutte le sue contraddizioni, i suoi smarrimenti e le sue possibilità. Enea è “pio padre”, è “pontifex” ma non esita, giunto nel Lazio, a conquistare la terra dei Fati col sangue e con la violenza, quasi in una sfida “machista” col suo nemico/omologo Turno; è amorevole col figlio Ascanio, è sempre rispettoso del padre Anchise ma potrebbe giustamente apparirci spietato nei confronti di Didone. Nel concepire la regia, la mia prima necessità è stata dunque quella di porre al centro Enea, di non perderlo mai di vista, e di mantenerlo sempre in una situazione precaria, ovvero in viaggio. Partendo dalla prima definizione che Virgilio dà del suo eroe, “profugus”, ovvero profugo, la sovrapposizione con i profughi che ai giorni nostri attraversano il Mediterraneo per sbarcare sulle nostre coste è inevitabile. Uno di essi sogna o fantastica ad occhi aperti: nel limbo di un mare senza fine ed immutabile, immagina se stesso Enea, come lui in cerca di una identità e di una propria collocazione: gli incontri straordinari che gli capitano nel corso del suo peregrinare in cerca della terra promessa ci appaiono come tappe fondative di sé e della sua possibilità di futuro. Il suo viaggio è dunque quello dell’eroe troiano, concreto ma anche metaforico ed estremamente intimo: Celeno l’Arpia, Andromaca, Didone, ma anche il padre Anchise o i Penati, appartengono a non luoghi, emergono dal nulla come fantasmi, sono più che altro spazi della mente e dell’anima, stazioni di costruzione dell’uomo Enea. Il Fato è incarnato dalle tre Parche, quasi uno scherzo, osservatori non partecipi dei destini dell’uomo, immutabili testimoni della spinta dell’uomo a costruire e costruirsi. Per loro non c’è differenza tra un profugo contemporaneo che scappa dalla Libia o dalla Siria ed Enea: è semplicemente la storia dell’umanità, immutabile nei secoli. In scena dunque c’è uno spazio indefinito, una barca, un viaggio, tre migranti di oggi oppure Enea e i suoi compagni, figure che appaiono e scompaiono dal nulla, che ritornano e ci abbandonano, l’ossessione per la ricerca di una terra promessa e di una possibilità di futuro, la responsabilità verso sé stessi e la propria stirpe ed un uomo sempre al centro, Enea appunto: confuso, smarrito, dilaniato tra il proprio desiderio e il proprio dovere/fato, lacerato dal dolore e dal peso per il proprio passato perduto e allo stesso tempo spietatamente determinato nell’andare avanti. Un tema musicale si compone e scompone, accompagna emotivamente il viaggio/percorso, costruisce un’armonia che non può che essere “folle” come lo è l’inevitabile spinta dell’uomo verso l’altrove, troppo complicata per essere logica, troppo necessaria per dover fare i conti con la logica. Alla fine, resta una domanda, una sola: quanto manca?”
– Nota del regista Stefano Scherini
foto © Davide Cinzi
Organizzatore
Teatro Ristori
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