Marzo, 2020

15Mar(Mar 15)11:00“CULTURA ANGLOAMERICANA” - I VIRTUOSI ITALIANI - CALOGERO PALERMO clarinetto - LEONARDO BENINI direttore11:00 via Teatro Ristori,7 - VeronaGenere:Evento ospitato,I Virtuosi Italiani,Stagione 2019-2020acquista onlineinfo e prezzi sul sito dell'organizzatore

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(Domenica) 11:00

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Teatro Ristori

via Teatro Ristori,7 - Verona

Dettagli

XXI STAGIONE CONCERTISTICA DEI VIRTUOSI ITALIANI
Teatro Ristori

I CONCERTI DEL MATTINO

“CULTURA ANGLOAMERICANA”

 

I VIRTUOSI ITALIANI

CALOGERO PALERMO clarinetto

LEONARDO BENINI direttore

 

A. COPLAND
Apalachian Spring 1944

N. ORTOLANO
Sonata per Clarinetto e orchestra d’Archi

A. COPLAND
Concerto per clarinetto, archi, arpa e pianoforte
Slowly and expressvely. Rather fast

 

Il balletto «Appalachian Spring» (Primavera appalachiana, dal nome della nota regione degli U.S.A.) fu composto da Copland nel 1944 per la celebre danzatrice Martha Graham, dietro invito della «Fondazione Coolidge», cui la musica contemporanea deve tanti e generosi aiuti.
Aaron Copland, nato a Brooklyn nel 1900, è considerato uno dei più rappresentativi compositori americani della sua generazione. Formatosi in patria con R. Goldmark (un nipote di Carlo Goldmark), perfezionatosi a Parigi con Nadia Boulanger, egli unisce nella sua musica la giovanile baldanza, il generoso entusiasmo e la tipica «ingenuità» americana con la sapienza tecnica europea. Ha composto opere in tutti i generi, ma la sua vocazione più autentica si è rivelata nel balletto, fin dal primo lavoro «Grogh» del 1929 cui seguono «Hear ye!», «Billy the Kid», «Rodeo» e «Appalachian Spring», che è il suo capolavoro del genere. Questo, nella sua colorita orchestrazione, nel suo caratteristico melos popolaresco, nel suo ritmo jazz, nell’intonazione religiosa di certi passi, ci offre come una immagine sintetica dell’America: da quella primitiva e romantica delle praterie a quella moderna e dinamica dei grattacieli.
La Suite tratta da questo balletto consta di otto pezzi, scelti fra le migliori pagine della partitura. Nel primo vengono presentati i «personaggi», con una lenta introduzione; nel secondo, ha inizio l’azione, in una atmosfera religiosa; il terzo dipinge una scena tenera e appassionata; il quarto è di carattere folkloristico, con echi di strumenti campagnoli e suggestioni di danze all’aperto; il quinto, si svolge sul ritmo di una danza giocosa ed esaltante; il sesto costituisce una transizione, con ripresa dei temi dell’introduzione; il settimo presenta un motivo derivato da un canto popolare americano e seguito da cinque variazioni; l’ottavo conclude in un clima intimo espresso dalla sonorità degli archi: le ultime, battute richiamano ancora l’introduzione.
Se è vero che la cultura europea – e quella musicale – sono caratterizzate da una atavica visione etnocentrica, i prodotti musicali d’oltreoceano subiscono, ad eccezione dell’operato dei maestri del jazz, un inconscio quanto ineluttabile confronto più o meno diretto con i modelli della tradizione occidentale, una tradizione nella quale sono stati anche assimilati, “ovviamente”, compositori come Stravinsky e Bartók. Secondo un’ottica del genere il Concerto per clarinetto di Copland scritto nel 1948, sembra evocare fino alle prime battute dello Slowely and expressively in 3/4 un clima poetico tutto europeo o, per meglio dire, parigino. Impossibile non associare infatti questa apertura che ha la dilatazione di un valzer lento – sorta di agogica dello spirito, rarefatta e interiorizzata – al clima dell’Adagio assai, secondo movimento del Concerto in sol per pianoforte e orchestra di Maurice Ravel, che è del 1931, oppure a quello delle Danze per arpa e orchestra d’archi di Claude Debussy, che risalgono al 1904.
A ben riflettere, però, queste analogie si ridimensionano via via la composizione prende corpo. Privo com’è di suddivisioni nette fra un movimento e l’altro e senza far ricorso alla classica struttura sonatistica, il Concerto di Copland si distende nella prima parte in una forma A-A’-B-A” di chiara derivazione liederistica, con un avvio nella tonalità di Si minore in cui lo strumento solista assume i caratteri di un protagonismo a tratti lirico, a tratti pacato ed elegiaco ma sempre instabile, sia in senso armonico, sia melodico. Si noterà fra gli altri un episodio di intenso valore espressivo, alla 15ma misura e oltre, allorché la melopea si apre come stupefatta su un toccante Mi bemolle, “infiltratosi” in apparenza come nota di passaggio. L’instabilità orrizzontale che ha caratterizzato tutta la prima parte favorisce e rende meno programmatico il collegamento a un episodio centrale in Fa maggiore, nel quale la presenza di alcune misure in 5/4 “spezza” il flusso ritmico e contribuisce ad interrompere l’omogeneità del dialogo fra orchestra e strumento solista. Oltre tutto è proprio il clarinetto che, dimentico del clima meditativo nel quale si è mosso fino a questo punto, si abbandona ad alcuni salti “epici” di ottava e poi di decima, forse del tutto simili a quelle intonazioni nelle quali l’Europa ha creduto di riconoscere la voce dell’America attraverso Dvorak. L’omogeneità riconquistata poco dopo, nel ritorno alla tonalità di partenza, si stempera ben presto in un breve episodio che, senza soluzione di continuità, conclude la prima parte ma si lega altresì alla Cadenza del clarinetto. E proprio la Cadenza può essere considerata l’episodio che fa da cerniera dell’intera composizione. È in essa infatti che poco a poco si insinuano numerosi – e in fondo attesi – stilemi jazzistici grazie ai quali si sconfina direttamente nella seconda parte del Concerto, a conclusione di una vertiginosa scala cromatica ascendente di sedicesimi legati: unica concessione, finora, ad uno “slang” gershwiniano.
Appare evidente, in questo movimento che ha molti caratteri del divertimento, una minore consistenza strutturale e il ricorrere da una parte a una costante seppure irregolare frammentazione ritmica e melodica (è frequente il concatenarsi di gruppi di ritmi in 2 giustapposti a ritmi in 3), dall’altra a numerosi espedienti coloristici di mera estroversione timbrica. Un sound, in fondo, che ben conosciamo, essendo tipico di un sinfonismo stilisticamente ibrido in bilico tra generi diversi: il jazz d’intrattenimento, il virtuosismo delle bands di provincia oppure certe strepitose scores del cinema d’animazione. In ogni caso – come negli episodi che affidano al pianoforte e a violoncelli e contrabbassi “slap bass style” il dialogo col clarinetto in una gara d’impertinenza festosa e spesso ruvida – si tratta di sonorità profondamente americane, topoi di quel vitalismo meccanicistico ma anche imprevedibile, un pò puerile e un pò folle («tra grattacieli e praterie», come direbbe il musicologo inglese Wilfrid Mellers) sul quale nell’immediato dopoguerra si andava consolidando una società basata su un formidabile potere economico. In altre parole: il mito americano. Un mito del quale Copland è forse tra gli interpreti più amabili e sinceri.

 

CALOGERO PALERMO

Primo clarinetto presso la prestigiosa Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam.
Giovanissimo ricopriva già tale ruolo nell’Orchestra del Teatro V. Bellini di Catania (1993-1996), successivamente nell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma (1997-2008, 2012-2015) e nell’Orchestre National de France (2008-2011).
Vincitore del Concorso Internazionale Jeunesses Musicales di Bucarest e di numerosi altri riconoscimenti avuti nei più importanti concorsi clarinettistici italiani,   svolge un’intensa attività concertistica che lo ha portato ad  esibirsi in vari paesi dell’Europa, Asia, Africa e America, collaborando con prestigiosi direttori come: Kurt Masur, Mariss Jansons, Valery Gergiev, Sir Colin Davis, Yuri Temirkanov, Daniele Gatti, Herbert Blomstedt, John Eliot Gardiner, Daniel Harding, Andris Nelsons, Iván Fischer, Neemi Järvi, Charles Dutoit e Riccardo Muti.
Ha inciso per la B.M.G. Ricordi, Riverberi Sonori, Fonè, Accord for music-Roma, Trio Zecchini, Wicky Edition, Cristal Records, Gutman Records, Brilliant Classics, BIS Record e A.I.C. Numerose sue esecuzioni sono state trasmesse da varie emittenti radiofoniche e televisive: RAI, Radio Vaticana, Televisione Nazionale Rumena, Radio Clásica RNE, Radio France, RadioTre, France Musique, RaiTrade e NPO Radio 4.
Tra gli autori che hanno creato musiche a lui dedicate, Luis Bacalov, Renato Chiesa, Claudio Cimpanelli, Antonio Fraioli e Nunzio Ortolano.
Affianca all’attività concertistica quella didattica che lo vede impegnato in numerosi Corsi di Alto Perfezionamento e Master Classes sia in Italia che all’estero: Mozarteum Salzburg, CRR de Paris, University of Gothenburg, Conservatoire de Lyon, Tokyo University of the Arts, Malmö Academy of Music, Conservatori Liceu de Barcellona, IMEP Institut Supérieur de Musique et de Pédagogie de Namur, College of Music Mahidol University Bangkok, Manhattan School of Music New York.
E’ autore del testo didattico Soli d’orchestra per clarinetto con accompagnamento pianistico. Viene regolarmente invitato nelle giurie dei più importanti concorsi internazionali per clarinetto.  Calogero Palermo suona con clarinetto Buffet Crampon modello RC Prestige.

 

 

 

LEONARDO BENINI

Nasce a Verona il 20 dicembre 1994. Crescendo in un contesto familiare che ha sempre dato grande importanza all’arte, viene avviato allo studio della musica fin da bambino. Inizia il suo percorso accademico in conservatorio studiando clarinetto, arrivando a conseguire il diploma con il massimo dei voti e la lode nel 2014, presso il conservatorio F.A. Bonporti di Trento, sotto la guida del M° Mauro Pedron. Prosegue gli studi musicali, sempre al conservatorio Bonporti, nella classe di composizione del M° Massimo Priori. Ottiene il diploma superiore di primo livello nell’anno accademico 2016/2017 con il massimo dei voti e la lode, presentando un’opera originale da camera per due solisti, coro ed ensemble strumentale dal titolo Fabbrica Interiore. Dopo un avviamento alla direzione d’orchestra frequentando masterclass e corsi intensivi tenuti da Maestri quali Mario Lanaro, Giancarlo Andretta, Isaac Karabtchevsky, Julian Lombana, Sergio Bernal e Fabrizio Dorsi, nel 2017 viene ammesso al Master en Direction d’Orchestre Specislisée nella classe del M° Laurent Gay presso la prestigiosa Haute École de Musique di Ginevra dove si diploma brillantemente nel giugno 2019.

 

 

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