Che cosa sia la musica da camera e qual'è la sua caratteristica e la sua funzione nella tradizione artistica dell'Ottocento tedesco ce lo dice Paul Hindemith nel suo libro teorico e critico «A Composer's World» apparso nel 1952 e ricco di spunti e di riflessioni non solo musicali. «In una sala molto piccola - scrive il compositore di Hanau - in una stanza di soggiorno possiamo discernere chiaramente le linee melodiche più elaborate, le armonie più complesse e gli schemi ritmici più intricati, perché siamo in strettissima relazione spaziale con la fonte del suono. E inoltre gli strumenti e i cantanti possono far uso delle più raffinate sottigliezze di tecnica, perché nulla andrà perduto, e gli stessi esecutori possono comunicare le loro impressioni direttamente, come in una conversazione privata. Il compositore che scrive per tali condizioni gode della massima libertà possibile per sviluppare la propria tecnica nei campi più esoterici. Quasi ogni cosa ch'egli scrive ha probabilità d'essere presentata nitidamente e chiaramente percepita. Nulla di strano perciò che la musica da camera sia sempre stata il mezzo preferito per l'audacia tecnica, per quanto riguarda l'applicazione degli elementi musicali».
Ora questo piacere di discorrere familiarmente tra gente colta, che sa cogliere allusioni e sfumature tra le pieghe di un discorso anche elevato e complesso, trova la sua collocazione più naturale e caratteristica nella musica da camera di Brahms. Questi la coltivò affettuosamente per lunghi anni, dopo i lavori giovanili prevalentemente pianistici e prima di affrontare nella piena maturità la composizione sinfonica, con quella Prima Sinfonia che Hans von Bülow considerò come la continuazione della «Nona» beethoveniana.
Il Quartetto in sol minore fu scritto nell'estate del 1861 e il 16 novembre dello stesso anno fu eseguito per la prima volta nella sala dei concerti di Amburgo, con Clara Schumann che sedeva al pianoforte. Molto benevola l'accoglienza sia del pubblico che della critica, mentre in una successiva esecuzione a Vienna, con l'autore al pianoforte, il Quartetto sollevò qualche riserva per il suo tono accademico nell'impianto costruttivo. Naturalmente erano i primi strali più o meno velenosi lanciati dall'agguerrita critica viennese contro Brahms, il quale avrebbe dovuto aspettare molti anni per essere considerato un musicista di grande statura nei paesi di lingua tedesca.
Il Quartetto op. 25 è di ampie proporzioni e abbastanza elaborato strumentalmente, con il pianoforte in posizione dominante, pur nel pieno rispetto del gioco contrappuntistico con gli archi. Il primo tempo si impone all'ascolto sia per la varietà dei temi (sono tre) che per la ricchezza del discorso musicale, avvolto in un clima di dolce e affettuosa malinconia tipicamente brahmsiana. Ad una introduzione basata sul primo tema segue una esposizione sui tre temi principali; nello sviluppo successivo il compositore si serve solo del primo tema, cui fa seguito una riesposizione con tutti e tre i temi, e l'Allegro si conclude con una coda di classica linearità. L'Intermezzo (Allegro ma non troppo) è una pagina di delicato lirismo, tutta soffusa di un sentimento di poesia autunnale; significativo è l'episodio centrale più leggermente vivace nelle sue evanescenti e chiaroscurate sonorità.
L'Andante con moto si apre con una melodia calda e distesa del violino, proiettata con intensità di vibrazioni e trascinante con sé gli altri strumenti in un clima di romantica stimmung. Nella seconda parte del movimento l'atmosfera espressiva diventa vigorosa e marziale, quasi una eco di canti e inni tedeschi di estrazione popolaresca. L'Andante si conclude con un ritorno alla stessa sognante tessitura iniziale.
L'ultimo tempo è un indiavolato Rondò di carattere zingaresco, che si ricollega allo spirito di quelle danze ungheresi così magistralmente trascritte da Brahms, che da giovane aveva compiuto numerose tournées concertistiche con il famoso violinista di Budapest, Ede Reményi. Per due volte tra i ritmi festosi e travolgenti di una musica tzigana fa capolino una curiosa cadenza, raffigurante, secondo un critico francese, una inaspettata stretta di mano tra Bach e Liszt.
Nonostante lo splendore della sua musica orchestrale, Johannes Brahms confidò alla musica da camera le sue ispirazioni più belle, più profonde, più autentiche. Eppure nei primi dieci anni della sua attività non aveva mostrato alcun interesse per la cameristica e si era dedicato quasi esclusivamente al pianoforte e ai Lieder: solo alcuni lavori incompiuti o non pubblicati lasciavano già intuire una sua latente predilezione per questo genere musicale, in cui avrebbero trovato una simbiosi perfetta i due aspetti apparentemente inconciliabili della sua arte, la ricerca di perfezione formale e il tono confidenziale e intimo, cioè - semplificando - il lato classico e il lato romantico. Ma questa predilezione avrebbe cominciato a manifestarsi concretamente solo dopo il 1860. Da allora i lavori cameristici si susseguirono con regolarità, cosicché alla fine della sua vita Brahms lasciò un catalogo di ventiquattro composizioni da camera, ripartite tra un gran numero di organici diversi (e spesso inusuali, come il Sestetto d'archi o il Trio di pianoforte, violino e corno), ognuno dei quali è utilizzato una, due o al massimo tre volte, senza che si delineino cicli monumentali paragonabili ai diciassette Quartetti per archi di Beethoven.
Al di là della varietà degli organici, la musica da camera di Brahms ha in comune un colore di fondo nostalgico e autunnale, che si stende sui toni intimi e sulle inflessioni colloquiali come sulle meditazioni tragiche e le accensioni passionali, sul sentimento malinconico della natura come sulle vivide citazioni della musica popolare, specialmente zigana. Sul piano formale, Brahms non introduce particolari novità, in quanto l'architettura dei movimenti e la tecnica di sviluppo e variazione dei temi si ricollegano al modello beethoveniano, ma con una ricchezza d'invenzione e una leggerezza di scrittura che danno sempre un'impressione di totale libertà e naturalezza. Riesce dunque a conciliare aspetti apparentemente inconciliabili, romanticismo e classicismo, intima espressione dei sentimenti e poderosa costruzione formale, senso della melodia e sapienza contrappuntistica.
Il Quintetto in fa minore per pianoforte e archi op. 34 costituisce il momento della conquista della piena maturità da parte di Brahms, l'opera in cui tutti i contrastanti aspetti della sua arte raggiungono piena espressione e completo equilibrio: dunque uno dei suoi massimi capolavori, non soltanto nel settore della musica da camera. Come molti altri capolavori di Brahms, ebbe una genesi tormentata da dubbi e ripensamenti. Era stato ideato nel 1861-1862 come Quintetto per archi (due violini, viola e due violoncelli: la stessa formazione usata da Schubert nel suo Quintetto in do maggiore), ma questa versione fu distrutta dopo le critiche di Joseph Joachim e Clara Schumann, i cui consigli erano sempre ascoltati con la massima attenzione da Brahms: in particolare Clara suggerì che certi temi e sviluppi avrebbero richiesto il pianoforte. Allora Brahms lo riscrisse per due pianoforti e lo fece eseguire a Vienna nell'aprile del 1864; ma anche questa volta non convinse gli ascoltatori e Clara Schumann individuò la sua debolezza nel fatto che "è un'opera così piena d'idee che richiede un'intera orchestra, al pianoforte la maggior parte di queste idee si perdono" e concluse: "Ti prego rivedila ancora una volta". Brahms amava questa versione (la pubblicò alcuni anni dopo come Sonata per due pianoforti op. 34 b) ma ancora una volta seguì i consigli dell'amica, solo parzialmente però, perché invece di un'intera orchestra affiancò al pianoforte il quartetto d'archi.
Questa terza versione fu realizzata nell'estate del 1864 e l'opinione dei fidati amici e consiglieri di Brahms fu questa volta unanimemente positiva. Il grande direttore d'orchestra Hermann Levi scrisse a Brahms una lettera entusiastica: "II Quintetto è bello oltre ogni dire. Chi non l'avesse ascoltato nelle sue vesti iniziali di Quintetto per archi e di Sonata per due pianoforti non potrebbe supporre che non sia stato originalmente pensato e realizzato per l'attuale combinazione di strumenti... D'un lavoro monotono per due pianoforti voi avete fatto un'opera di grande bellezza, un capolavoro della musica da camera. Non si era ascoltato nulla di simile dal 1828" (l'anno del Quintetto di Schubert già prima evocato).