Domenico Scarlatti: il mandolino nelle capitali europee
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Per tutto il corso del diciottesimo secolo, il mandolino godette di una certa fortuna come strumento solistico, e vide fiorire una ricca letteratura a lui dedicata, comprendente concerti, sonate, pezzi solistici e duetti. In Italia, esso ebbe larghissima diffusione non solo a Napoli, ma anche nel Nord, dove si può dire che ogni città avesse un suo tipo particolare di mandolino. Analogamente, anche nel resto dell’Europa, ed in particolare a Parigi e Vienna, lo strumento visse una breve stagione di successo, testimoniata da una letteratura di buona qualità. Nella produzione di opere per mandolino furono coinvolti anche autori come Johann Nepomuk Hummel e Ludwig van Beethoven, allora all’apice della fama, e questo fatto solo basterebbe a confermarci la diffusione di una moda che, per quanto di durata relativamente breve, lasciò qualche traccia significativa nel costume musicale.
Tra le 555 Sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti, si può notare un certo numero di brani (una ventina circa) con caratteristiche similari, ma assai diversi rispetto al resto del corpus scarlattiano.
Le Sonate K 81, 88, 89, 90 e 91, in particolare, si differenziano a loro volta per unicità della struttura formale (tripartita e quadripartita) e perché la loro scrittura fa pensare ad una destinazione concertante. Anche se tardivamente, queste Sonate, ad eccezione della K 88, sono state proposte in concerti e edizioni a stampa in versione per violino e basso continuo. Oltre alla predilezione di Scarlatti per gli strumenti a pizzico, vi sono diverse ragioni a sostegno di una possibile destinazione di questi lavori, non esclusiva ma assai probabile, al mandolino. E’ abbastanza strano, anche se giustificabile per l’ancora scarsa conoscenza del repertorio di questo strumento e delle sue emanazioni locali (mandolino veneziano, bresciano, lombardo, genovese, napoletano, ecc.) che nessuno abbia mai preso in considerazione questa ipotesi, oggi suffragata dal ritrovamento di un importante documento: il manoscritto 6785 della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi. Esaminando tale testo musicale (relativo alla Sonata K 89), possiamo notare come l’indicazione strumentale del manoscritto (Sonata per mandolino e cimbalo) trovi riscontro in una scrittura melodica idiomatica per lo strumento a pizzico, con valori musicali molto brevi anche nei tempi lenti ed una scrittura molto ritmica.
La scoperta del manoscritto 6785 ci consente di proporre con relativa sicurezza il mandolino come strumento da utilizzare nelle esecuzioni di brani per strumento soprano e basso continuo. La destinazione mandolinistica delle Sonate scarlattiane è avvalorata anche dalla loro datazione (se pur approssimativa), poiché intorno al 1720 appaiono diverse interessanti raccolte a stampa dedicate a “violino, flauto, mandola e violone”, che testimoniano l’impiego di strumenti a pizzico in alternativa a strumenti più comuni.
Contrariamente al luogo comune che vuole il mandolino strumento delle classi meno abbienti, nel Settecento esso incontrava il favore degli aristocratici; nella musica napoletana, lo strumento a pizzico impiegato per sostenere ed accompagnare il canto era il colascione, sorta di liuto a manico lungo, montato con due o tre corde accordate per quinte ed ottave. Gli autori che nel ricchissimo mondo musicale della capitale borbonica mostrarono interesse per il mandolino furono in primo luogo i virtuosi, bisognosi di musica adatta ad esaltare le proprie abilità; tra questi Giovanni Battista Gervasio, autore del primo metodo per mandolino napoletano, pubblicato a Parigi nel 1767. Nella Sonata in Re maggiore, Gervasio concentra un gran numero di passaggi d’alto virtuosismo strumentale: si pensi alle rapide successioni di sestine che, caratterizzano il primo movimento della composizione.
Poco si sa di Girolamo Venier, compositore di scuola veneziana la cui Sonata per mandolino ad uso della N.D. Maria Venier è conservata oggi alla Biblioteca Marciana di Venezia; anche il Bone, nel suo glorioso The Guitar and Mandolin, lo ignora completamente.
Nella sua Sonata, ad ogni buon conto, Venier dà prova di un’ottima conoscenza della tecnica dello strumento, dando vita ad una composizione garbata e ricca di brio.
Roberto Valentini, flautista nato intorno al 1680, visse per diverso tempo in Inghilterra, dove fu noto col nome di Robert Valentine e pubblicò la maggior parte delle sue composizioni La Sonata n.5 di Roberto Valentini, tratta dalle Sonate per flauto traversiero col basso che possano servire a violino, mandola et oboe, op.12, fu pubblicata a Roma nel 1730
Verso il 1780 la fortuna del mandolino a Parigi può dirsi conclusa, da quella data infatti non vengono più realizzate stampe di musiche per mandolino ed i periodici non riportano più i nomi e gli indirizzi dei maestri italiani.
In seguito, il ruolo del mandolino si cristallizza in quello dello strumento da serenata, che annovera peraltro esempi illustri (“Don Giovanni”!).
Saranno i compositori del XX° secolo a recuperare il mandolino ad una funzione meno stereotipata, sfruttandone le peculiari qualità timbriche.
Artisti e Compagnia
Mandolino
Dorina Frati
Clavicembalo
Daniele Roi
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